Page 1311 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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lasciato pigliar piede et accommodare le cose sue, non avrebbono poi
potuto offenderlo e nuocergli, cominciarono a buon'ora a dargli che fare e
molestarlo. Per che ristrettisi insieme molti dell'arte et altri e fatta una
setta, cominciarono a seminare fra i maggiori che l'opera del salotto non
riusciva, e che lavorando per pratica non istudiava cosa che facesse. Nel
che il laceravano veramente a torto, perciò che se bene non istentava a
condurre le sue opere, come facevano essi, non è però che egli non
istudiasse e che le sue cose non avessero invenzione e grazia infinita, né
che non fussero ottimamente messe in opera. Ma non potendo i detti
aversarii superare con l'opere la virtù di lui, volevano con sì fatte parole e
biasimi sotterrarla, ma ha finalmente troppa forza la virtù et il vero. Da
principio si fece Francesco beffe di cotali rumori, ma veggendoli poi
crescere oltre il convenevole, se ne dolse più volte col Duca. Ma non
veggendosi che quel signore gli facesse in apparenza quegli favori ch'egli
arebbe voluto, e parendo che non curasse quelle sue doglienze, cominciò
Francesco a cascare di maniera, che presogli i suoi contrarii animo
addosso, missono fuori una voce che le sue storie della sala s'avevano a
gettare per terra e che non piacevano, né avevano in sé parte niuna di
bontà. Le quali tutte cose, che gli pontavano contra, con invidia e
maledicenza incredibile de' suoi avversarii, avevano ridotto Francesco a
tale, che se non fusse stata la bontà di Messer Lelio Torelli, di Messer
Pasquino Bertini e d'altri amici suoi, egli si sarebbe levato dinanzi a
costoro, il che era a punto quello che eglino desideravano. Ma questi sopra
detti amici suoi confortandolo tuttavia a finire l'opera della sala et altre che
aveva fra mano, il rattennono, sì come feciono anco molti altri amici suoi
fuori di Firenze, ai quali scrisse queste sue persecuzioni, e fra gli altri
Giorgio Vasari in rispondendo a una lettera, che sopra ciò gli scrisse il
Salviati, lo confortò sempre ad aver pazienza, perché la virtù perseguitata
raffinisce come al fuoco l'oro, aggiungendo che era per venir tempo che
sarebbe conosciuta la sua virtù et ingegno, che non si dolesse se non di sé,
che anco non conosceva gli umori e come son fatti gli uomini et artefici
della sua patria. Nonostante dunque tante contrarietà e persecuzioni che
ebbe il povero Francesco, finì quel salotto, cioè il lavoro che aveva tolto a
fare in fresco nelle facciate, perciò che nel palco o vero soffittato non fu
bisogno che lavorasse alcuna cosa, essendo tanto riccamente intagliato e
messo tutto d'oro, che per sì fatta non si può vedere opera più bella. E per
accompagnare ogni cosa fece fare il Duca di nuovo due finestre di vetro
con l'imprese et arme sue e di Carlo V, che si può far di quel lavoro meglio,
che furono condotte da Batista dal Borro, pittore aretino raro in questa
professione.
Dopo questa fece Francesco per sua eccellenza il palco del salotto ove si