Page 1344 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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Sammacchini, pittore bolognese, e l'altra un Lorenzo Costa mantovano; il
medesimo Federigo Zucchero dipinse in questo luogo la loggetta, che
guarda sopra il vivaio, e dopo fece un fregio in Belvedere nella sala
principale, a cui si saglie per la lumaca, con istorie di Moisè e Faraone,

belle a fatto. Della qual opera ne diede, non ha molto, esso Federigo il
disegno fatto e colorito di sua mano in una bellissima carta al reverendo
don Vincenzio Borghini, che lo tiene carissimo e come disegno di mano
d'eccellente pittore. E nel medesimo luogo dipinse il medesimo l'Angelo

che amazza in Egitto i primigeniti, facendosi, per fare più presto, aiutare a
molti suoi giovani. Ma nello stimarsi da alcuni le dette opere, non furono le
fatiche di Federigo e degl'altri riconosciute come dovevano, per essere in
alcuni artefici nostri, in Roma, a Fiorenza e per tutto, molti maligni che,

accecati dalle passioni e dall'invidie, non conoscono o non vogliono
conoscere l'altrui opere lodevoli et il difetto delle proprie. E questi tali sono
molte volte cagione ch'i begl'ingegni de' giovani, sbigottiti, si raffreddano
negli studii e nell'operare.

Nell'offizio della Ruota dipinse Federigo, dopo le dette opere, intorno a
un'arme di papa Pio Quarto, due figure maggior del vivo, cioè la Giustizia e

l'Equità, che furono molto lodate, dando in quel mentre tempo a Taddeo di
attendere all'opera di Caprarola et alla capella di San Marcello. Intanto Sua
Santità, volendo finire ad ogni modo la sala de' re, dopo molte contenzioni
state fra Daniello et il Salviati, come s'è detto, ordinò al vescovo di Furlì

quanto intorno a ciò voleva che facesse, onde egli scrisse al Vasari a dì tre
di settembre l'anno 1561, che volendo il Papa finire l'opera della sala de'
re, gl'aveva commesso che si trovassero uomini, i quali ne cavassero una
volta le mani, e che perciò, mosso dall'antica amicizia e d'altre cagioni, lo

pregava a voler andare a Roma per fare quell'opera, con bona grazia e
licenzia del Duca suo signore; perciò che con suo molto onore et utile ne
farebbe piacere a Sua Beatitudine, e che acciò quanto prima rispondesse.
Alla quale lettera rispondendo, il Vasari disse che, trovandosi stare molto

bene al servizio del Duca et essere delle sue fatiche rimunerato altrimenti
che non era stato fatto a Roma da altri pontefici, voleva continuare nel
servigio di sua eccellenza per cui aveva da mettere allora mano a molto
maggior sala che quella de' re non era, e che a Roma non mancavano

uomini di chi servirsi in quell'opera. Avuta il detto vescovo dal Vasari
questa risposta, e con Sua Santità conferito il tutto, dal cardinale Emulio,
che novamente aveva avuto cura dal Pontefice di far finire quella sala, fu
compartita l'opera, come s'è detto, fra molti giovani, che erano parte in

Roma e parte furono d'altri luoghi chiamati. A Giuseppe Porta da Castel
Nuovo della Carfagnana, creato del Salviati, furono date due [del]le
maggiori storie della sala; a Girolamo Siciolante da Sermoneta un'altra
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