Page 1215 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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nella cappella maggiore del Duomo di quella città, fra l'altre cose di mano
di Boccaccino Boccacci pittore cremonese, che avea lavorata quella tribuna
a fresco, un Cristo, che sedendo in trono et in mezzo a quattro Santi, dà la
benedizione. Per che, piaciutagli quell'opera, si acconciò, per mezzo

d'alcuni amici, con esso Boccaccino, il quale allora lavorava nella medesima
chiesa pur a fresco alcune storie della Madonna, come si è detto nella sua
vita, a concorrenza di Altobello pittore, il quale lavorava nella medesima
chiesa dirimpetto a Boccaccino alcune storie di Gesù Cristo, che sono molto

belle e veramente degne di essere lodate. Essendo dunque Benvenuto
stato due anni in Cremona et avendo molto acquistato sotto la disciplina di
Boccaccino, se n'andò d'anni diciannove a Roma l'anno 1500, dove postosi
con Giovanni Baldini pittor fiorentino, assai pratico, et il quale aveva molti

bellissimi disegni di diversi maestri eccellenti, sopra quelli, quando tempo
gl'avanzava e massimamente la notte, si andava continuamente
esercitando. Dopo, essendo stato con costui quindici mesi et avendo
veduto con molto suo piacere le cose di Roma, scorso che ebbe un pezzo

per molti luoghi d'Italia, si condusse finalmente a Mantova, dove appresso
Lorenzo Costa pittore stette due anni, servendolo con tanta amorevolezza,
che colui per rimunerarlo lo acconciò in capo a due anni con Francesco
Gonzaga marchese di Mantoa, col quale anco stava esso Lorenzo. Ma non

vi fu stato molto Benvenuto, che amalando Piero suo padre in Ferrara, fu
forzato tornarsene là, dove stette poi del continuo quattro anni lavorando
molte cose da sé solo et alcune in compagnia de' Dossi. Mandando poi
l'anno 1505 per lui Messer Ieronimo Sagrato, gentiluomo ferrarese, il quale

stava in Roma, Benvenuto vi tornò di bonissima voglia e massimamente
per vedere i miracoli che si predicavano di Raffaello da Urbino e della
cappella di Giulio stata dipinta dal Buonarroto. Ma giunto Benvenuto in
Roma, restò quasi disperato, non che stupito nel vedere la grazia e la

vivezza che avevano le pitture di Raffaello e la profondità del disegno di
Michelagnolo, onde malediva le maniere di Lombardia e quella che avea
con tanto studio e stento imparato in Mantoa, e volentieri, se avesse
potuto, se ne sarebbe smorbato. Ma poi che altro non si poteva, si risolvé a

volere disimparare e, dopo la perdita di tanti anni, di maestro divenire
discepolo. Per che, cominciato a disegnare di quelle cose che erano migliori
e più difficili, et a studiare con ogni possibile diligenza quelle maniere tanto
lodate, non attese quasi ad altro per ispazio di due anni continui. Per lo che

mutò in tanto la pratica e la maniera cattiva in buona, che n'era tenuto
dagl'artefici conto; e, che fu più, tanto adoperò col sottomettersi e con ogni
qualità d'amorevole ufficio, che divenne amico di Raffaello da Urbino, il
quale, come gentilissimo e non ingrato, insegnò molte cose, aiutò e favorì

sempre Benvenuto; il quale, se avesse seguitato la pratica di Roma,
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