Page 1424 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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Messer Giorgio amico caro. Io ho ricevuto il libretto di Messer Cosimo che

voi mi mandate, et in questa sarà una di ringraziamento; pregovi che
gliene diate, et a quella mi raccomando.

Io ho avuto a questi dì con gran disagio e spesa e gran piacere nelle
montagne di Spuleti a visitare que' romiti, in modo che io son ritornato
men che mezzo a Roma, perché veramente e' non si trova pace se non ne'

boschi. Altro non ho che dirvi, mi piace che stiate sano e lieto, e mi vi
raccomando. De' 18 di settembre 1556.


Lavorava Michelagnolo quasi ogni giorno per suo passatempo intorno a

quella pietra che s'è già ragionato, con le quattro figure, la quale egli
spezzò in questo tempo per queste cagioni: perché quel sasso aveva molti
smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scarpello; o fusse pure che
il giudizio di quello uomo fussi tanto grande che non si contentava mai di

cosa che e' facessi: e che e' sia il vero, delle sue statue se ne vede poche
finite nella sua virilità, ché le finite affatto sono state condotte da lui nella
sua gioventù, come il Bacco, la Pietà della Febre, il Gigante di Fiorenza, il
Cristo della Minerva, che queste non è possibile né crescere né diminuire

un grano di panìco senza nuocere loro; l'altre del duca Giuliano e Lorenzo,
Notte et Aurora, e 'l Moisè con altre dua in fuori, che non arrivano tutte a
undici statue, l'altre dico sono state imperfette, e son molte
maggiormente, come quello che usava dire, che se s'avessi avuto a

contentare di quel che faceva, n'arebbe mandate poche, anzi, nessuna
fuora; vedendosi ch'egli era ito tanto con l'arte e col giudizio innanzi, che
com'egli aveva scoperto una figura e conosciutovi un minimo che d'errore,
la lasciava stare e correva a manimettere un altro marmo, pensando non

avere a venire a quel medesimo; et egli spesso diceva essere questa la
cagione che egli diceva d'aver fatto sì poche statue e pitture. Questa Pietà,
come fu rotta, la donò a Francesco Bandini. In questo tempo Tiberio
Calcagni scultore fiorentino era divenuto molto amico di Michelagnolo, per

mezzo di Francesco Bandini e di Messer Donato Giannotti, et essendo un
giorno in casa di Michelagnolo dove era rotta questa Pietà, dopo lungo
ragionamento li dimandò per che cagione l'avessi rotta e guasto tante
maravigliose fatiche: rispose esserne cagione la importunità di Urbino suo

servidore, che ogni dì lo sollecitava a finirla, e che fra l'altre cose gli venne
levato un pezzo d'un gomito della Madonna, e che prima ancora se l'era
recata in odio e ci aveva avuto molte disgrazie attorno di un pelo che v'era;
dove scappatogli la pazienzia la roppe, e la voleva rompere affatto, se

Antonio suo servidore non se gli fusse raccomandato che così com'era
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