Page 1422 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
P. 1422
perdonassi oltra a quello che (come ho detto) gli scrisse al Duca in
escusazione sua. E se Michelagnolo fussi stato da poter cavalcare sarebbe
subito venuto a Fiorenza, onde credo che non si sarebbe saputo poi partire
per ritornarsene a Roma, tanto lo mosse la tenerezza e l'amore che
portava al Duca; et intanto attendeva a lavorare in detta fabbrica in molti
luoghi, per fermarla ch'ella non potesse essere più mossa.
In questo mentre alcuni gli avevon referto che papa Paulo Quarto era
d'animo di fargli acconciare la facciata della cappella dove è il Giudizio
Universale, perché diceva che quelle figure mostravano le parte
vergognose troppo disonestamente: là dove fu fatto intendere l'animo del
Papa a Michelagnolo il quale rispose: "Dite al Papa che questa è piccola
faccenda, e che facilmente si può acconciare; che acconci egli il mondo,
che le pitture si acconciano presto". Fu tolto a Michelagnolo l'ufizio della
cancelleria di Rimini; non volse mai parlare al Papa, che non sapeva la
cosa, il quale dal suo coppiere gli fu levato col volergli fare dare per conto
della fabbrica di San Piero scudi cento il mese, che fattogli portare una
mesata a casa, Michelagnolo non gli accettò. L'anno medesimo gli nacque
la morte di Urbino suo servidore, anzi come si può chiamare e come aveva
fatto, suo compagno: questo venne a stare con Michelagnolo a Fiorenza
l'anno 1530, finito l'assedio, quando Antonio Mini suo discepolo andò in
Francia, et usò grandissima servitù a Michelagnolo, tanto che in ventisei
anni quella servitù e dimestichezza fece che Michelagnolo lo fé ricco e
l'amò tanto, che così vecchio in questa sua malattia lo servì e dormiva la
notte vestito a guardarlo. Per il che dopo che fu morto, il Vasari per
confortarlo gli scrisse et egli rispose con queste parole:
Messer Giorgio mio caro, io posso male scrivere, pur per risposta della
vostra lettera dirò qualche cosa. Voi sapete come Urbino è morto: di che
m'è stato grandissima grazia di Dio, ma con grave mio danno et infinito
dolore. La grazia è stata che dove in vita mi teneva vivo, morendo m'ha
insegnato morire non con dispiacere, ma con desiderio della morte. Io l'ho
tenuto ventisei anni e hollo trovato rarissimo e fedele, et ora che lo avevo
fatto ricco e che io l'aspettavo bastone e riposo della mia vecchiezza, m'è
sparito, né m'è rimasto altra speranza che di rivederlo in Paradiso. E di
questo n'ha mostro segno Iddio per la felicissima morte che ha fatto, che
più assai che 'l morire gli è incresciuto lasciarmi in questo mondo traditore
con tanti affanni; benché la maggior parte di me n'è ita seco, né mi rimane
altro che una infinita miseria; e mi vi raccomando.
Fu adoperato al tempo di Paulo Quarto nelle fortificazioni di Roma in più