Page 1569 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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finito del tutto. Nel qual tempo, ancor che io non avessi se non poco più di
diciotto anni, mi dava il Duca sei scudi il mese di provisione, il piatto a me,
et un servitore, e le stanze da abitare, con altre molte commodità. Et ancor
che io conoscessi non meritar tanto a gran pezzo, io facea nondimeno tutto

che sapeva con amore e con diligenza; né mi pareva fatica dimandare a'
miei maggiori quello che io non sapeva, onde più volte fui d'opera e di
consiglio aiutato dal Tribolo, dal Bandinello e da altri.

Feci adunque in un quadro alto tre braccia esso duca Alessandro, armato e
ritratto di naturale, con nuova invenzione et un sedere fatto di prigioni
legati insieme e con altre fantasie. E mi ricorda che oltre al ritratto, il quale

somigliava, per far il brunito di quell'arme bianco, lucido e proprio, che io vi
ebbi poco meno che a perdere il cervello, cotanto mi affaticai in ritrarre dal
vero ogni minuzia. Ma disperato di potere in questa opera accostarmi al
vero, menai Iacopo da Puntormo, il quale io per la sua molta virtù

osservava, a vedere l'opera e consigliarmi; il quale, veduto il quadro e
conosciuta la mia passione, mi disse amorevolmente: "Figliuol mio, insino a
che queste arme vere e lustranti stanno a canto a questo quadro, le tue ti
parranno sempre dipinte, perciò che se bene la biacca è il più fiero colore

che adoperi l'arte, e nondimeno più fiero e lustrante è il ferro. Togli via le
vere e vedrai poi che non sono le tue finte armi così cattiva cosa, come le
tieni". Questo quadro, fornito che fu, diedi al Duca, et il Duca lo donò a
Messer Ottaviano de' Medici, nelle cui case è stato insino a oggi, in

compagnia del ritratto di Caterina allora giovane sorella del detto Duca e
poi Reina di Francia, e di quello del magnifico Lorenzo Vecchio. Nelle
medesime case sono tre quadri pur di mia mano e fatti nella mia
giovanezza. In uno Abramo sacrifica Isac, nel secondo è Cristo nell'orto, e

nell'altro la cena che fa con gl'Apostoli.
Intanto, essendo morto Ipolito cardinale, nel quale era la somma collocata

di tutte le mie speranze, cominciai a conoscere quanto sono vane, le più
volte, le speranze di questo mondo, e che bisogna in se stesso, e
nell'essere da qualche cosa, principalmente confidarsi. Dopo quest'opere,

veggendo io che il Duca era tutto dato alle fortificazioni et al fabricare,
cominciai, per meglio poterlo servire, a dare opera alle cose d'architettura,
e vi spesi molto tempo. Intanto, avendosi a far l'apparato per ricevere
l'anno 1536 in Firenze l'imperatore Carlo Quinto, nel dare a ciò ordine il
Duca comise ai deputati sopra quella onoranza, come s'è detto nella vita

del Tribolo, che m'avessero seco a disegnare tutti gl'archi et altri ornamenti
da farsi per quell'entrata. Il che fatto, mi fu anco, per beneficarmi, allogato,
oltre le bandiere grandi del castello e fortezza, come si disse, la facciata a

uso d'arco trionfale, che si fece a San Felice in piazza, alta braccia quaranta
e larga venti; et appresso l'ornamento della porta a San Piero Gattolini,
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