Page 1574 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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nell'instituire Madalena, e l'affezione e prontezza di Marta nell'ordinare il
convito e dolersi d'essere lasciata sola dalla sorella in tante fatiche e
ministerio; per non dir nulla dell'attenzione degl'Apostoli et altre molte
cose da essere considerate in questa pittura. Quanto alla terza storia,
dipinsi i tre Angeli (venendomi ciò fatto non so come) in una luce celeste,
che mostra partirsi da loro, mentre i raggi d'un sole gli circonda in una
nuvola. De' quali tre Angeli il vecchio Abramo adora uno, se bene sono tre
quelli che vede, mentre Sarra si sta ridendo e pensando come possa essere
quello che gl'è stato promesso, et Agar con Ismael in braccio si parte
dall'ospizio. Fa anco la medesima luce chiarezza ai servi che
apparecchiano, fra i quali alcuni, che non possono sofferire lo splendore, si
mettono le mani sopra gl'occhi e cercano di coprirsi; la quale varietà di
cose, perché l'ombre crude et i lumi chiari danno più forza alle pitture,
fecero a questa aver più rilievo che l'altre due non hanno, e variando di
colore, fecero effetto molto diverso. Ma così avess'io saputo mettere in
opera il mio concetto, come sempre con nuove invenzioni e fantasie sono
andato, allora e poi, cercando le fatiche et il difficile dell'arte!
Quest'opera dunque, comunche sia, fu da me condotta in otto mesi,
insieme con un fregio a fresco et architettura, intagli, spalliere, tavole et
altri ornamenti di tutta l'opera e di tutto quel refettorio; et il prezzo di tutto
mi contentai che fusse dugento scudi, come quelli che più aspirava alla
gloria che al guadagno. Onde Messer Andrea Alciati mio amicissimo, che
allora leggeva in Bologna, vi fece far sotto queste parole: "Octonis
mensibus opus ab Aretino Georgio pictum, non tam praecio, quam
amicorum obsequio, et honoris voto anno 1539. Philippus Serralius pon.
curavit".
Feci in questo medesimo tempo due tavolette d'un Cristo morto e d'una
Ressurrezzione, le quali furono da don Miniato Pitti abate poste nella
chiesa di Santa Maria di Barbiano fuor di San Gimignano di Valdelsa; le
quali opere finite, tornai subito a Fiorenza, perciò che il Trevisi, maestro
Biagio et altri pittori bolognesi, pensando che io mi volessi acasare in
Bologna e torre loro di mano l'opere et i lavori, non cessavano
d'inquietarmi, ma più noiavano loro stessi che me, il quale di certe lor
passioni e modi mi rideva. In Firenze adunque copiai da un ritratto grande
infino alle ginocchia un cardinale Ipolito a Messer Ottaviano, et altri quadri
con i quali mi andai trattenendo in que' caldi insoportabili della state. I
quali venuti, mi tornai alla quiete e fresco di Camaldoli, per fare la detta
tavola dell'altar maggiore. Nella quale feci un Cristo che è deposto di croce,
con tutto quello studio e fatica che maggiore mi fu possibile; e perché col
fare e col tempo mi pareva pur migliorare qualche cosa, né mi
sodisfacendo della prima bozza, gli ridetti di mestica e la rifeci quale la si