Page 1576 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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allora fatto opera, per quello che mi ricorda, né con più studio, né con più
amore e fatica di questa, ma tuttavia, se bene satisfeci a altri per
aventura, non satisfeci già a me stesso, come che io sappia il tempo, lo
studio e l'opera ch'io misi particolarmente negl'ignudi, nelle teste, e

finalmente in ogni cosa. Mi diede Messer Bindo, per le fatiche di questa
tavola, trecento scudi d'oro, et inoltre l'anno seguente mi fece tante
cortesie et amorevolezze in casa sua in Roma, dove gli feci in un piccol
quadro, quasi di minio, la pittura di detta tavola, che io sarò sempre alla

sua memoria ubbligato.
Nel medesimo tempo ch'io feci questa tavola che fu posta, come ho detto,

in S. Apostolo, feci a Messer Ottaviano de' Medici una Venere et una Leda
con i cartoni di Michelagnolo, et in un gran quadro un San Girolamo, quanto
il vivo, in penitenza, il quale contemplando la morte di Cristo, che ha
dinanzi in sulla croce, si percuote il petto, per scacciare della mente le cose

di Venere e le tentazioni della carne, che alcuna volta il molestavano,
ancor che fusse nei boschi e luoghi solinghi e salvatichi, secondo che egli
stesso di sé largamente racconta. Per lo che dimostrare, feci una Venere,
che con Amore in braccio fugge da quella contemplazione, avendo per

mano il Giuoco et essendogli cascate per terra le frecce et il turcasso;
senzaché le saette da Cupido tirate verso quel Santo, tornano rotte verso
di lui, et alcune, che cascano, gli sono riportate col becco dalle colombe di
essa Venere. Le quali tutte pitture, ancora che forse allora mi piacessero e

da me fussero fatte come seppi il meglio, non so quanto mi piacciano in
questa età. Ma perché l'arte in sé è dificile, bisogna torre da chi fa quel che
può. Dirò ben questo, però che lo posso dire con verità, d'avere sempre
fatto le mie pitture, invenzioni e disegni comunche sieno, non dico con

grandissima prestezza, ma sì bene con incredibile facilità e senza stento: di
che mi sia testimonio, come ho detto in altro luogo, la grandissima tela
ch'io dipinsi in San Giovanni di Firenze in sei giorni soli l'anno 1542, per lo
battesimo del signor don Francesco Medici, oggi principe di Firenze e di

Siena.

Ora se bene io voleva, dopo quest'opere, andare a Roma per satisfare a
Messer Bindo Altoviti, non mi venne fatto; perciò che chiamato a Vinezia da
Messer Pietro Aretino, poeta allora di chiarissimo nome e mio amicissimo,
fui forzato, perché molto disiderava vedermi, andar là; il che feci anco
volentieri per vedere l'opere di Tiziano e d'altri pittori in quel viaggio. La

qual cosa mi venne fatta, però che in pochi giorni vidi in Modena et in
Parma l'opere del Coreggio, quelle di Giulio Romano in Mantoa, e l'antichità
di Verona finalmente. Giunto in Vinezia con due quadri dipinti di mia mano

con i cartoni di Michelagnolo, gli donai a don Diego di Mendozza, che mi
mandò dugento scudi d'oro. Né molto dimorai a Vinezia, che pregato
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