Page 1570 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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opere tutte grandi e sopra le forze mie. E, che fu peggio, avendomi questi
favori tirato addosso mille invidie, circa venti uomini, che m'aiutavano far
le bandiere e gl'altri lavori, mi piantarono in sul buono, a persuasione di
questo e di quello, acciò io non potessi condurre tante opere e di tanta

importanza. Ma io, che aveva preveduto la malignità di que' tali, ai quali
avea sempre cercato di giovare, parte lavorando di mia mano giorno e
notte, e parte aiutato da pittori avuti di fuora, che m'aiutavano di nascoso,
attendeva al fatto mio et a cercare di superare cotali difficultà e

malivoglienze con l'opere stesse.
Il qual mentre Bertoldo Corsini, allora generale proveditore per sua

eccellenzia, aveva rapportato al Duca che io aveva preso a far tante cose,
che non era mai possibile che io l'avessi condotte a tempo, e
massimamente non avendo io uomini et essendo l'opere molto a dietro;
per che, mandato il Duca per me e dettomi quello che avea inteso, gli

risposi che le mie opere erano a buon termine, come poteva vedere sua
eccellenzia a suo piacere, e che il fine loderebbe il tutto; e partitomi da lui,
non passò molto che occultamente venne dove io lavorava, e vide il tutto,
e conobbe in parte l'invidia e malignità di coloro che sanza averne cagione

mi pontavano addosso. Venuto il tempo che doveva ogni cosa essere a
ordine, ebbi finito di tutto punto e posti a' luoghi loro i miei lavori, con
molta sodisfazione del Duca e dell'universale. Là dove quelli di alcuni che
più avevano pensato a me, che a loro stessi, furono messi su imperfetti.

Finita la festa, oltre a' quattrocento scudi che mi furono pagati per l'opere,
me ne donò il Duca trecento, che si levarono a coloro che non avevano
condotto a fine le loro opere al tempo determinato, secondo che si era
convenuto d'accordo. Con i quali avanzi e donativo maritai una delle mie

sorelle, e poco dopo ne feci un'altra monaca nelle Murate d'Arezzo, dando
al monasterio oltre alla dote, o vero limosina, una tavola d'una Nunziata di
mia mano, con un tabernacolo del Sacramento in essa tavola accomodato,
la quale fu posta dentro nel loro coro, dove stanno a ufiziare.

Avendomi poi dato a fare la Compagnia del Corpus Domini d'Arezzo la

tavola dell'altar maggiore di San Domenico, vi feci dentro un Cristo deposto
di croce, e poco appresso per la Compagnia di San Rocco cominciai la
tavola della loro chiesa in Firenze. Ora, mentre andava procacciandomi
sotto la protezione del duca Alessandro onore, nome e facultà, fu il povero
signore crudelmente ucciso, et a me levato ogni speranza di quello che io

mi andava, mediante il suo favore, promettendo dalla fortuna. Per che
mancati, in pochi anni, Clemente, Ipolito et Alessandro, mi risolvei,
consigliato da Messer Ottaviano, a non volere più seguitare la fortuna delle

corti, ma l'arte sola, se bene facile sarebbe stato accomodarmi col signor
Cosimo de' Medici nuovo duca. E così tirando innanzi in Arezzo la detta
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