Page 332 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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femine e di maschi, con certi vasi stati da lui fatti condurre di Grecia con
non piccola spesa. Lasciò parimente alcuni torsi di figure et altre cose
molte; le quali tutte furono insieme con le facultà di Lorenzo mandate
male; e parte vendute a Messer Giovanni Gaddi, allora cherico di camera e

fra esse fu il detto letto di Policleto e l'altre cose migliori. Di Bonacorso
rimase un figliuolo, chiamato Vettorio, il quale attese alla scultura, ma con
poco profitto, come ne mostrano le teste che a Napoli fece nel palazzo del
duca di Gravina, che non sono molto buone, perché non attese mai all'arte

con amore, né con diligenza, ma sì bene a mandare in malora le facultà et
altre cose che gli furono lasciate dal padre e da l'avolo. Finalmente,
andando sotto papa Paulo Terzo in Ascoli per architetto, un suo servitore,
per rubarlo, una notte lo scannò, e così spense la sua famiglia, ma non già

la fama di Lorenzo, che viverà in eterno.
Ma tornando al detto Lorenzo, egli attese mentre visse a più cose e

dilettossi della pittura e di lavorare di vetro; et in Santa Maria del Fiore
fece quegli occhi che sono intorno alla cupola; eccetto uno che è di mano
di Donato, che è quello dove Cristo incorona la Nostra Donna. Fece
similmente Lorenzo li tre che sono sopra la porta principale di essa Santa

Maria del Fiore, e tutti quelli delle capelle e delle tribune; e così l'occhio
della facciata dinanzi di Santa Croce. In Arezzo fece una finestra per la
capella maggior della Pieve, dentrovi la incoronazione di Nostra Donna e
due altre figure per Lazzero di Feo di Baccio, mercante ricchissimo; ma

perché tutte furono di vetri viniziani carichi di colore fanno i luoghi dove
furono poste anzi oscuri che no. Fu Lorenzo dato per compagno al
Brunellesco, quando gli fu allogata la Cupola di Santa Maria del Fiore, ma
ne fu poi levato, come si dirà nella vita di Filippo.

Scrisse il medesimo Lorenzo un'opera volgare, nella quale trattò di molte
varie cose, ma sì fattamente che poco costrutto se ne cava. Solo vi è, per

mio giudizio, di buono che, dopo avere ragionato di molti pittori antichi, e
particolarmente di quelli citati da Plinio, fa menzione brevemente di
Cimabue, di Giotto e di molti altri di que' tempi. E ciò fece con molto più

brevità che non doveva, non per altra cagione che per cadere con bel modo
in ragionamento di se stesso, e raccontare, come fece, minutamente a una
per una tutte l'opere sue. Né tacerò che egli mostra il libro essere stato
fatto da altri, e poi nel processo dello scrivere, come quegli che sapea
meglio disegnare, scarpellare e gettare di bronzo che tessere storie

parlando di se stesso, dice in prima persona: "Io feci, io dissi, io faceva e
diceva".

Finalmente pervenuto all'anno sessantaquattresimo della sua vita, assalito
da una grave e continua febbre si morì, lasciando di sé fama immortale
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