Page 408 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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scortare il girare di tutti que' circoli con molta grazia. Laonde, acquistato
che si ebbe in quella corte credito e nome, volle farsi conoscere in altri
luoghi; onde, andato a Pesero et Ancona, in sul più bello del lavorare fu dal
duca Borso chiamato a Ferrara, dove nel palazzo dipinse molte camere,

che poi furono rovinate dal duca Ercole vecchio, per ridurre il palazzo alla
moderna. Di maniera che in quella città non è rimaso di man di Piero se
non una capella in S. Agostino, lavorata in fresco; et anco quella è dalla
umidità mal condotta. Dopo, essendo condotto a Roma, per papa Nicola

Quinto lavorò in palazzo due storie, nelle camere di sopra, a concorrenza di
Bramante da Milano, le quali forono similmente gettate per terra da papa
Giulio Secondo, perché Raffaello da Urbino vi dipignesse la prigionia di S.
Piero et il miracolo del corporale di Bolsena, insieme con alcune altre che

aveva dipinto Bramantino, pittore eccellente de' tempi suoi; e perché di
costui non posso scrivere la vita né l'opere particulari per essere andate
male, non mi parrà fatica, poi che viene a proposito, far memoria di costui,
il quale nelle dette opere che furono gettate per terra, aveva fatto,

secondo che ho sentito ragionare, alcune teste di naturale sì belle e sì ben
condotte, che la sola parola mancava a dar loro la vita.

Delle quali teste ne sono assai venute in luce, perché Raffaello da Urbino le
fece ritrare, per avere l'effigie di coloro che tutti furono gran personaggi,
perché fra essi era Niccolò Fortebraccio, Carlo Settimo re di Francia,
Antonio Colonna principe di Salerno, Francesco Carmignuola, Giovanni

Vitellesco, Bessarione cardinale, Francesco Spinola, Battista da Canneto; i
quali tutti ritratti furono dati al Giovio da Giulio Romano discepolo et erede
di Raffaello da Urbino, e dal Giovio posti nel suo museo a Como. In Milano,
sopra la porta di S. Sepolcro, ho veduto un Cristo morto di mano del

medesimo, fatto in iscorto; nel quale, ancora che tutta la pittura non sia
più che un braccio d'altezza, si dimostra tutta la lunghezza dell'impossibile,
fatta con facilità e con giudizio. Sono ancora di sua mano in detta città, in
casa del marchesino Ostanesia, camere e loggie con molte cose lavorate

da lui con pratica e grandissima forza negli scorti delle figure. E fuori di
porta Versellina, vicino al castello, dipinse a certe stalle oggi rovinate e
guaste, alcuni servidori che stregghiavano cavalli, fra i quali n'era uno
tanto vivo e tanto ben fatto, che un altro cavallo tenendolo per vero, gli

tirò molte coppie di calci.
Ma tornando a Piero della Francesca, finita in Roma l'opera sua, se ne

tornò al Borgo, essendo morta la madre; e nella Pieve fece a fresco dentro
alla porta del mezzo, due Santi, che sono tenuti cosa bellissima. Nel
convento de' frati di S. Agostino dipinse la tavola dell'altar maggiore, che fu

cosa molto lodata, et in fresco lavorò una Nostra Donna della Misericordia
in una Compagnia, o vero, come essi dicono, Confraternita; e nel Palazzo
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