Page 601 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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et una estrema perfezzione ne' piedi, mani, capegli, barbe, ancora che il
tutto delle membra, sia accordato con l'antico et abbia una certa
corrispondenza giusta nelle misure. Ché s'eglino avessino avuto quelle
minuzie dei fini, che sono la perfezzione et il fiore dell'arte, arebbono avuto
ancora una gagliardezza risoluta nell'opere loro e ne sarebbe conseguito la
leggiadria et una pulitezza e somma grazia, che non ebbono, ancora che vi
sia lo stento della diligenzia, che son quelli che dànno gli stremi dell'arte
nelle belle figure, o di rilievo o dipinte. Quella fine e quel certo che ci
mancava, non lo potevano mettere così presto in atto, avvenga che lo
studio insecchisce la maniera, quando egli è preso per terminare i fini in
quel modo. Bene lo trovaron poi dopo loro gli altri, nel veder cavar fuora di
terra certe anticaglie, citate da Plinio delle più famose: il Lacoonte, l'Ercole
et il Torso grosso di Bel Vedere, così la Venere, la Cleopatra, lo Apollo et
infine altre: le quali nella lor dolcezza e nelle lor asprezze con termini
carnosi e cavati dalle maggior bellezze del vivo, con certi atti che non in
tutto si storcono, ma si vanno in certe parti movendo e si mostrano con
una graziosissima grazia. E furono cagione di levar via una certa maniera
secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio studio avevano lasciata in
questa arte Pietro della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Baldovinetti,
Andrea dal Castagno, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Cosimo
Rosselli, l'Abate di San Clemente, Domenico del Ghirlandaio, Sandro
Botticello, Andrea Mantegna, Filippo e Luca Signorello; i quali, per sforzarsi,
cercavano fare l'impossibile dell'arte con le fatiche e massime negli scorti e
nelle vedute spiacevoli che, sì come erano a loro dure a condurle, così
erano aspre a vederle. Et ancora che la maggior parte fussino ben
disegnate e senza errori, vi mancava pure uno spirito di prontezza che non
ci si vide mai, et una dolcezza ne' colori unita, che la cominciò ad usare
nelle cose sue il Francia Bolognese e Pietro Perugino. Et i popoli nel
vederla corsero come matti a questa bellezza nuova e più viva, parendo
loro assolutamente che e' non si potesse già mai far meglio.
Ma lo errore di costoro dimostrarono poi chiaramente le opere di Lionardo
da Vinci, il quale, dando principio a quella terza maniera, che noi vogliamo
chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, et oltra
il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura così apunto,
come elle sono, con buona regola, miglior ordine, retta misura, disegno
perfetto e grazia divina, abbondantissimo di copie e profondissimo di arte,
dette veramente alle sue figure il moto et il fiato. Seguitò dopo lui, ancora
che alquanto lontano, Giorgione da Castel Franco, il quale sfumò le sue
pitture e dette una terribil movenzia alle sue cose, per una certa oscurità di
ombre bene intese; né meno di costui diede alle sue pitture forza, rilievo,
dolcezza e grazia ne' colori fra' Bartolomeo di San Marco. Ma più di tutti il