Page 1035 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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detto Messer Baldo Magini di naturale e ritto, con la chiesa di San Fabiano
di Prato in mano, la quale egli donò al capitolo della calonaca della pieve.
E ciò fece per lo capitolo detto il quale, per memoria del ricevuto beneficio,
fece porre questa quadro in sagrestia, sì come veramente meritò
quell'uomo singolare che con ottimo giudizio beneficiò quella principale
chiesa della sua patria tanto nominata per la cintura che vi serba di Nostra
Donna. E questo ritratto fu delle migliori opere che mai facesse Niccolò di
pittura.
È openione ancora d'alcuni che di mano del medesimo sia una tavoletta
che è nella Compagnia di San Pier martir[e] in sulla piazza di San
Domenico di Prato, dove sono molti ritratti di naturale, ma secondo me,
quando sia vero che così sia, ella fu da lui fatta inanzi a tutte l'altre sue
sopra dette pitture. Dopo questi lavori, partendosi di Prato Niccolò sotto la
disciplina del quale avea imparato i principii dell'arte della pittura
Domenico Giuntalochi, giovane di quella terra di bonissimo ingegno, il
quale per aver appreso quella maniera di Niccolò non fu di molto valore
nella pittura, come si dirà, se ne venne per lavorare a Fiorenza. Ma veduto
che le cose dell'arte di maggiore importanza si davano a' migliori e più
eccellenti e che la sua maniera non era secondo il far d'Andrea del Sarto,
del Puntormo, del Rosso e degli altri, prese partito di ritornarsene in
Arezzo, nella quale città aveva più amici, maggior credito e meno
concorrenza. E così avendo fatto, subito che fu arrivato, conferì un suo
desiderio a Messer Giuliano Bacci, uno de' maggiori cittadini di quella città,
e questo fu che egli desiderava che la sua patria fusse Arezzo, e che per
ciò volentieri arebbe preso a far alcun'opera che l'avesse mantenuto un
tempo nelle fatiche dell'arte, nelle quali egli arebbe potuto mostrare in
quella città il valore della sua virtù. Messer Giuliano, adunque, uomo
ingegnoso e che desiderava abellire la sua patria, e che in essa fussero
persone che attendessero alle virtù, operò di maniera con gl'uomini che
allora governavano la Compagnia della Nunziata, i quali avevano fatto di
quei giorni murare una volta grande nella lor chiesa con intenzione di farla
dipignere, che fu allogato a Niccolò un arco delle facce di quella, con
pensiero di fargli dipignere il rimanente se quella prima parte, che aveva
da fare allora, piacesse agl'uomini di detta Compagnia. Messosi dunque
Niccolò intorno a quest'opera con molto studio, in due anni fece la metà, e
non più di uno arco, nel quale lavorò a fresco la Sibilla tiburtina che mostra
a Ottaviano imperadore la Vergine in cielo col Figliuol Gesù Cristo in collo
et Ottaviano, che con reverenza l'adora. Nella figura del quale Ottaviano
ritrasse il detto Messer Giuliano Bacci et in un giovane grande che ha un
panno rosso, Domenico suo creato, et in altre teste altri amici suoi.
Insomma si portò in quest'opera di maniera, che ella non dispiacque