Page 1036 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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agl'uomini di quella Compagnia, né agl'altri di quella città. Ben è vero che
dava fastidio a ognuno il vederlo così lungo e penar tanto a condurre le sue
cose, ma con tutto ciò gli sarebbe stato dato a finire il rimanente se non
l'avesse impedito la venuta in Arezzo del Rosso fiorentino, pittor singolare

al quale, essendo messo inanzi da Giovan Antonio Lappoli pittore aretino e
da Messer Giovanni Polastra, come si è detto in altro luogo, fu allogato con
molto favore il rimanente di quell'opera. Di che prese tanto sdegno Niccolò,
che se non avesse tolto l'anno inanzi donna et avutone un figliuolo, dove

era accasato in Arezzo, si sarebbe subito partito. Pur finalmente quietatosi,
lavorò una tavola per la chiesa di Sargiano, luogo vicino ad Arezzo due
miglia, dove stanno frati de' zoccoli, nella quale fece la Nostra Donna
assunta in cielo con molti putti che la portano, a' piedi di San Tomaso che

riceve la cintola et a torno San Francesco, S. Lodovico, S. Giovanni Battista
e Santa Lisabetta regina d'Ungheria. In alcuna delle quali figure e
particularmente in certi punti, si portò benissimo; e così anco nella predella
fece alcune storie di figure piccole, che sono ragionevoli. Fece ancora nel

convento delle monache delle Murate del medesimo Ordine, in quella città,
un Cristo morto con le Marie, che per cosa a fresco è lavorata pulitamente.
E nella Badia di Santa Fiore de' monaci Neri, fece dietro al Crucifisso, che è
posto in sull'altar maggiore, in una tela a olio, Cristo che ora nell'orto e

l'Angelo che, mostrandogli il calice della Passione, lo conforta, che invero fu
assai bella e buon'opera. Alle monache di San Benedetto d'Arezzo,
dell'Ordine di Camaldoli, sopra una porta per la quale si entra nel
monastero fece in un arco la Nostra Donna, San Benedetto e Santa

Caterina, la quale opera fu poi, per aggrandire la chiesa, gettata in terra.
Nel castello di Marciano in Valdichiana, dov'egli si tratteneva assai, vivendo

parte delle sue entrate che in quel luogo aveva e parte di qualche
guadagno che vi faceva, cominciò Niccolò in una tavola un Cristo morto e
molte altre cose con le quali si andò un tempo trattenendo. Et in quel
mentre, avendo appresso di sé il già detto Domenico Giuntalochi da Prato,

si sforzava, amandolo et appresso di sé tenendolo come figliuolo, che si
facesse eccellente nelle cose dell'arte, insegnandoli a tirare di prospettiva,
ritrarre di naturale e disegnare, di maniera che già in tutte queste parti
riusciva bonissimo e di bello e buono ingegno. E ciò faceva Niccolò, oltre

all'essere spinto dall'affezione et amore che a quel giovane portava, con
isperanza, essendo già vicino alla vecchiezza, d'avere chi l'aiutasse e gli
rendesse negl'ultimi anni il cambio di tante amorevolezze e fatiche. E di
vero fu Niccolò amorevolissimo con ognuno e di natura sincero e molto

amico di coloro che s'affaticavano per venire da qualche cosa nelle cose
dell'arte; e quello che sapeva l'insegnava più che volentieri.

Non passò molto dopo queste cose, essendo da Marciano tornato in Arezzo
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