Page 1398 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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insomma tutto quello che quivi fece è da fare che gli occhi né stancare né
saziare vi si possono già mai. Veramente chi risguarda la bellezza de'
calzari e della corazza, celeste lo crede e non mortale. Ma che dirò io della
Aurora femina ignuda e da fare uscire il maninconico dell'animo e smarrire

lo stile alla scultura? Nella quale attitudine si conosce il suo sollecito levarsi
sonnacchiosa, svilupparsi dalle piume, perché pare che nel destarsi ella
abbia trovato serrato gli occhi a quel gran Duca. Onde si storce con
amaritudine, dolendosi nella sua continovata bellezza in segno del gran

dolore. E che potrò io dire della Notte, statua non rara, ma unica? Chi è
quello che abbia per alcun secolo in tale arte veduto mai statue antiche o
moderne così fatte? Conoscendosi non solo la quiete di chi dorme, ma il
dolore e la malinconia di chi perde cosa onorata e grande. Credasi pure che

questa sia quella Notte la quale oscuri tutti coloro che per alcun tempo
nella scultura e nel disegno pensavano, non dico di passarlo, ma di
paragonarlo già mai. Nella qual figura, quella sonnolenza si scorge che
nelle imagini adormentate si vede; per che da persone dottissime furono in

lode sua fatti molti versi latini e rime volgari come questi de' quali non si
sa l'autore:


La Notte, che tu vedi in sì dolci atti

dormir, fu da uno Angelo scolpita

in questo sasso; e perché dorme, ha vita.

Destala, se non 'l credi, e parleratti.


A' quali in persona della Notte rispose Michelagnolo così:



Grato mi è il sonno, e più l'esser di sasso,

mentre che il danno e la vergogna dura,

non veder, non sentir, m'è gran ventura:

però non mi destar, deh, parla basso.


E certo se la inimicizia ch'è tra la fortuna e la virtù, e la bontà d'una e la
invidia dell'altra avesse lasciato condurre tal cosa a fine, poteva mostrare

l'arte alla natura, che ella di gran lunga in ogni pensiero l'avanzava.
Lavorando egli con sollecitudine e con amore grandissimo tali opere,
crebbe, che pur troppo li impedì il fine, lo assedio di Fiorenza, l'anno 1529;

il quale fu cagione che poco o nulla egli più vi lavorasse, avendogli i
cittadini dato la cura di fortificare oltra al monte di San Miniato, la terra,
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