Page 157 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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tanto affettuoso e divoto, che a me pare la più eccellente pittura che Giotto
facesse in quell'opere, che sono tutte veramente belle e lodevoli.
Finito dunque che ebbe per ultimo il detto S. Francesco, se ne tornò a
Firenze, dove giunto dipinse per mandare a Pisa in una tavola un S.
Francesco ne l'orribile sasso della Vernia, con straordinaria diligenza:
perché oltre a certi paesi pieni di alberi e di scogli, che fu cosa nuova in
que' tempi, si vede nell'attitudini di S. Francesco, che con molta prontezza
riceve ginocchioni le stimate, un ardentissimo desiderio di riceverle et
infinito amore verso Gesù Cristo, che in aria circondato di Serafini gliele
concede, con sì vivi affetti, che meglio non è possibile immaginarsi. Nel
disotto poi della medesima tavola, sono tre storie della vita del medesimo,
molto belle.
Questa tavola, la quale oggi si vede in S. Francesco di Pisa in un pilastro
accanto all'altar maggiore, tenuta in molta venerazione per memoria di
tanto uomo, fu cagione che i Pisani, essendosi finita appunto la fabbrica di
Camposanto, secondo il disegno di Giovanni di Nicola Pisano, come si disse
di sopra, diedero a dipignere a Giotto parte delle facciate di dentro, acciò
che, come tanta fabrica era tutta di fuori incrostata di marmi e d'intagli
fatti con grandissima spesa, coperto di piombo il tetto, e dentro piena di
pile e sepolture antiche, state de' Gentili e recate in quella città di varie
parti del mondo, così fusse ornata dentro nelle facciate di nobilissime
pitture. Perciò, dunque, andato Giotto a Pisa, fece nel principio d'una
facciata di quel Camposanto sei storie grandi in fresco del pazientissimo
Iobbe; e perché giudiziosamente considerò che i marmi da quella parte
della fabrica dove aveva a lavorare erano volti verso la marina, e che tutti
essendo saligni per gli scilocchi, sempre sono umidi e gettano una certa
salsedine, sì come i mattoni di Pisa fanno per lo più, e che perciò acciecano
e si mangiano i colori e le pitture; fece fare, perché si conservasse quanto
potesse il più l'opera sua, per tutto dove voleva lavorare in fresco, in
arricciato o vero intonaco o incrostatura che vogliam dire, con calcina,
gesso e matton pesto mescolati così a proposito, che le pitture che egli poi
sopra vi fece, si sono insino a questo giorno conservate. E meglio,
starebbono, se la stracurataggine di chi ne doveva aver cura non l'avesse
lasciate molto offendere dall'umido; perché il non avere a ciò, come si
poteva agevolmente, proveduto, è stato cagione che, avendo quelle pitture
patito umido, si sono guaste in certi luoghi, e l'incarnazioni fatte nere, e
l'intonaco scortecciato; senzaché la natura del gesso, quando è con la
calcina mescolato, è d'infracidare col tempo e corrompersi; onde nasce che
poi per forza guasta i colori, sebben pare che da principio faccia gran presa
e buona.