Page 1584 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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che ottimamente veggio saprete fare, perciò che a me non dà il cuore, non
conoscendo le maniere, né sapendo molti particolari che potrete sapere
voi, sanza che quando pure io facessi, farei il più più un trattatetto simile a
quello di Plinio; fate quel ch'io vi dico, Vasari, perché veggio che è per
riuscirvi bellissimo, ché saggio dato me ne avete in questa narrazione". Ma
parendogli che io a ciò fare non fussi molto risoluto me lo fé dire al Caro, al
Molza, al Tolomei et altri miei amicissimi; per che risolutomi finalmente, vi
misi mano con intenzione, finita che fusse, di darla a uno di loro, che
rivedutola et acconcia, la mandasse fuori sotto altro nome che il mio.
Intanto partito di Roma l'anno 1546 del mese d'ottobre, e venuto a
Fiorenza, feci alle monache del famoso monasterio delle Murate, in tavola
a olio, un Cenacolo per lo loro refettorio, la quale opera mi fu fatta fare e
pagata da papa Paulo Terzo, che aveva monaca in detto monasterio una
sua cognata, stata contessa di Pitigliano. E dopo feci in un'altra tavola la
Nostra Donna che ha Cristo fanciullo in collo, il quale sposa Santa Caterina
vergine e martire, e due altri Santi; la qual tavola mi fece fare Messer
Tomaso Cambi per una sua sorella allora badessa nel monasterio del
Bigallo fuor di Fiorenza. E quella finita feci a monsignor de' Rossi de' conti
di San Secondo e vescovo di Pavia due quadri grandi a olio: in uno è San
Ieronimo e nell'altro una Pietà, i quali amendue furono mandati in Francia.
L'anno poi 1547, fini' del tutto per lo Duomo di Pisa, ad instanza di Messer
Bastiano della Seta Operaio, un'altra tavola che aveva cominciata; e dopo
a Simon Corsi mio amicissimo un quadro grande a olio d'una Madonna.
Ora, mentre che io faceva quest'opere, avendo condotto a buon termine il
libro delle vite degl'artefici del disegno, non mi restava quasi altro a fare
che farlo trascrivere in buona forma, quando a tempo mi venne alle mani
don Gian Matteo Faetani da Rimini, monaco di Monte Oliveto, persona di
lettere e d'ingegno, perché io gli facessi alcun'opere nella chiesa e
monasterio di Santa Maria di Scolca d'Arimini, là dove egli era abate.
Costui dunque, avendomi promesso di farlami trascrivere a un suo monaco
eccellente scrittore e di correggerla egli stesso, mi tirò ad Arimini a fare,
per questa comodità, la tavola et altar maggiore di detta chiesa, che è
lontana dalla città circa tre miglia. Nella qual tavola feci i Magi che adorano
Cristo, con una infinità di figure da me condotte in quel luogo soletario con
molto studio, imitando quanto io potei gl'uomini delle corti di tre re,
mescolati insieme, ma in modo però che si conosce all'arie de' volti di che
regione e soggetto a qual re sia ciascuno. Conciò sia, che alcuni hanno le
carnagioni bianche, i secondi bigie, et altri nere, oltre che la diversità delli
abiti e varie portature fa vaghezza e distinzione. È messa la detta tavola in
mezzo da due gran quadri, nei quali è il resto della corte, cavalli, liofanti e
giraffe, e per la cappella in varii luoghi sparsi Profeti, Sibille, Evangelisti in