Page 200 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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sua virtù, son contento che per l'opera mia non mi sia alcuna cosa data, se
non licenza di tornarmene a Firenze". Non poteva udendo la cosa il
vescovo, sebbene gli dispiaceva, tenere le risa, e massimamente
considerando, che una bestia aveva fatto una burla a chi era il più
burlevole uomo del mondo. Però poi che del nuovo caso ebbono ragionato
e riso abbastanza, fece tanto il vescovo, che si rimesse Buonamico la terza
volta all'opera e la finì. E il bertuccione per gastigo e penitenza del
commesso errore, fu serrato in una gran gabbia di legno e tenuto dove
Buonamico lavorava, insino a che fu quell'opera interamente finita; nella
quale gabbia non si potrebbe niuno imaginar i giuochi che quella bestiaccia
faceva col muso, con la persona, e con le mani, vedendo altri fare, e non
potere ella adoperarsi.
Finita l'opera di questa capella, ordinò il vescovo, o per burla o per altra
cagione che egli se lo facessi, che Buffalmacco gli dipignesse in una
facciata del suo palazzo un'aquila addosso a un leone, il quale ella avesse
morto. L'accorto dipintore avendo promesso di fare tutto quello che il
vescovo voleva, fece fare un buono assito di tavole, con dire non volere
essere veduto dipignere una sì fatta cosa. E ciò fatto, rinchiuso che si fu
tutto solo là dentro, dipinse, per contrario di quello che il vescovo voleva,
un leone che sbranava un'aquila; e finita l'opera chiese licenza al vescovo
d'andare a Firenze a procacciare colori, ché gli mancavano. E così serrato
con una chiave il tavolato, se n'andò a Firenze con animo di non tornare
altrimenti al vescovo, il quale, veggendo la cosa andare in lungo e il
dipintore non tornare, fatto aprire il tavolato, conobbe che più aveva
saputo Buonamico, che egli. Perché, mosso da gravissimo sdegno, gli fece
dar bando della vita; il che avendo Buonamico inteso, gli mandò a dire che
gli facesse il peggio che poteva, onde il vescovo lo minacciò da maladetto
senno. Pur finalmente considerando chi egli si era messo a volere burlare,
e che bene gli stava rimanere burlato, perdonò a Buonamico l'ingiuria e lo
riconobbe delle sue fatiche liberalissimamente. Anzi, che è più, condottolo
indi a non molto di nuovo in Arezzo, gli fece fare nel Duomo vecchio molte
cose che oggi sono per terra, trattandolo sempre come suo familiare e
molto fedel servitore. Il medesimo dipinse pure in Arezzo nella chiesa di S.
Iustino la nicchia della capella maggiore.
Scrivono alcuni, che essendo Buonamico in Firenze, e trovandosi spesso
con gl'amici e compagni suoi in bottega di Maso del Saggio, egli si truovò
con molti altri a ordinare la festa che in dì di calen di maggio feciono
gl'uomini di borgo S. Friano in Arno sopra certe barche, e che quando il
ponte alla Carraia, che allora era di legno, rovinò per essere troppo carico
di persone che erano corse a quello spettacolo, egli non vi morì, come
molti altri feciono, perché quando appunto rovinò il ponte in sulla machina