Page 388 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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affermando che non voleva perdere la sua quiete per pensare alla cura
famigliare et alla molestia del contadino, il quale ogni terzo dì gli era
intorno, quando perché il vento gli aveva scoperta la colombaia, quando
perché gli erano tolte le bestie dal Commune per le gravezze, e quando per

la tempesta che gli aveva tolto il vino e le frutte. Delle quali cose era tanto
sazio et infastidito, che e' voleva innanzi morir di fame che avere a pensare
a tante cose. Rise Piero della semplicità di Donato, e per liberarlo di questo
affanno, accettato il podere, che così volle al tutto Donato, gli assegnò in

sul banco suo una provisione della medesima rendita, o più, ma in danari
contanti, che ogni settimana gli erano pagati per la rata che gli toccava;
del che egli sommamente si contentò. E servitore et amico della casa de'
Medici, visse lieto e senza pensieri tutto il restante della sua vita, ancora

che conduttosi ad 83 anni, si trovasse tanto parletico che e' non potesse
più lavorare in maniera alcuna, e si conducesse a starsi nel letto
continovamente, in una povera casetta che aveva nella via del Cocomero,
vicino alle monache di San Niccolò. Dove peggiorando di giorno in giorno, e

consumandosi a poco a poco, si morì il dì 13 di dicembre 1466. E fu
sotterrato nella chiesa di San Lorenzo, vicino alla sepoltura di Cosimo,
come egli stesso aveva ordinato, a cagione che così gli fusse vicino il corpo
già morto, come vivo sempre gli era stato presso con l'animo.

Dolse infinitamente la morte sua a' cittadini, agli artefici et a chi lo
conobbe vivo. Laonde, per onorarlo più nella morte che e' non avevano

fatto nella vita, gli fecero essequie onoratissime nella predetta chiesa;
accompagnandolo tutti i pittori, gli architetti, gli scultori, gli orefici e quasi
tutto il popolo di quella città. La quale non cessò per lungo tempo di
componere in sua lode varie maniere di versi in diverse lingue, de' quali a

noi basta por questi soli che disotto si leggono.
Ma prima che io venga agl'epitaffii, non sarà se non bene ch'io racconti di

lui ancor questo. Essendo egli amalato, poco inanzi che si morisse,
l'andarono a trovare alcuni suoi parenti, e poi che l'ebbono, come s'usa,
salutato e confortato, gli dissero che suo debito era lasciar loro un podere

che egli aveva in quel di Prato, ancor che piccolo fusse e di pochissima
rendita, e che di ciò lo pregavano strettamente. Ciò udito Donato, che in
tutte le sue cose aveva del buono, disse loro: "Io non posso compiacervi,
parenti miei, perché io voglio, e così mi pare ragionevole, lasciarlo al
contadino che l'ha sempre lavorato e vi ha durato fatica; e non a voi, che

senza avergli mai fatto utile nessuno, né altro che pensar d'averlo, vorreste
con questa vostra visita che io ve lo lasciassi; andate, che siate benedetti".
E in verità così fatti parenti, che non hanno amore se non quanto è l'utile o

la speranza di quello, si deono in questa guisa trattare. Fatto dunque
venire il notaio, lasciò il detto podere al lavoratore che sempre l'aveva
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