Page 821 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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fecero la facciata de' Gaddi, ch'è cosa di maraviglia e di stupore nel
considerarvi dentro i belli e tanti varii abiti, l'infinità delle celate antiche,
de' soccinti, de' calzari e delle barche, ornate con tanta leggiadria e copia
d'ogni cosa, che imaginar si possa un sofistico ingegno. Quivi la memoria si
carica di una infinità di cose bellissime, e quivi si rappresentano i modi
antichi, l'effigie de' savi e bellissime femmine, Perché vi sono tutte le
spezie de' sacrifizii antichi, come si costumavano, e da che s'imbarca uno
essercito, a che combatte con variatissima foggia di strumenti e d'armi,
lavorate con tanta grazia e condotte con tanta pratica, che l'occhio si
smarrisce nella copia di tante belle invenzioni. Dirimpetto a questa è
un'altra facciata minore, che di bellezza e di copia non potria migliorare,
dov'è nel fregio la storia di Niobe quando si fa adorare e le genti che
portano tributi e vasi e diverse sorti di doni; le quali cose con tanta novità,
leggiadria, arte, ingegno e rilievo espresse egli in tutta questa opera, che
troppo sarebbe certo narrarne il tutto. Seguitò appresso lo sdegno di
Latona e la miserabile vendetta ne' figliuoli della superbissima Niobe, e che
i sette maschi da Febo e le sette femmine da Diana le sono ammazzati,
con un'infinità di figure di bronzo che non di pittura, ma paiono di mettallo.
E sopra, altre storie lavorate con alcuni vasi d'oro contrafatti con tante
bizzarrie dentro, che occhio mortale non potrebbe imaginarsi altro, né più
bello, né più nuovo, con alcuni elmi etrusci da rimaner confuso per la
moltiplicazione e copia di sì belle e capricciose fantasie ch'uscivano loro de
la mente. Le quali opere sono state imitate da infiniti che lavorano di sì
fatt'opere. Fecero ancora il cortile di questa casa, e similmente la loggia,
colorita di grotteschine picciole, che sono stimate divine. Insomma ciò che
eglino toccarono, con grazia e bellezza infinita assoluto renderono. E s'io
volessi nominare tutte l'opere loro, farei un libro intero de' fatti di questi
due soli, perché non è stanza, palazzo, giardino, né vigna, dove non siano
opere di Polidoro e di Maturino.
Ora, mentre che Roma ridendo s'abbelliva delle fatiche loro et essi
aspettavano premio de' proprii sudori, l'invidia e la fortuna mandarono a
Roma Borbone, l'anno 1527, che quella città mise a sacco. Laonde fu divisa
la compagnia non solo di Polidoro e di Maturino, ma di tanti migliaia
d'amici e di parenti, che a un sol pane tanti anni erano stati in Roma.
Perché Maturino si mise in fuga, né molto andò, che da' disagi patiti per
tale sacco, si stima a Roma che morisse di peste, e fu sepolto in S.
Eustachio. Polidoro verso Napoli prese il camino, dove arivato, essendo
quei gentiluomini poco curiosi delle cose eccellenti di pittura, fu per
morirvisi di fame. Onde egli lavorando a opere per alcuni pittori, fece in S.
Maria della Grazia un San Pietro nella maggior cappella; e così aiutò in
molte cose que' pittori, più per campare la vita, che per altro. Ma pure