Page 822 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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essendo predicato le virtù sue, fece al conte di... una volta dipinta a
tempera, con alcune facciate, ch'è tenuta cosa bellissima. E così fece il
cortile di chiaro e scuro al signor... et insieme alcune logge, le quali sono
molte piene d'ornamento e di bellezza, e ben lavorate. Fece ancora in S.

Angelo, allato alla pescheria di Napoli, una tavolina a olio, nella quale è
una Nostra Donna et alcuni ignudi d'anime cruciate, la quale di disegno, più
che di colorito, è tenuta bellissima. Similmente alcuni quadri, in quella
dell'altar maggiore, di figure intere sole, nel medesimo modo lavorate.

Avvenne che stando egli in Napoli, e veggendo poco stimata la sua virtù,
deliberò partire da coloro che più conto tenevano d'un cavallo che saltasse,

che di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive. Per il che,
montato su le galee, si trasferì a Messina, e quivi trovato più pietà e più
onore, si diede ad operare; e così lavorando di continuo prese ne' colori
buona e destra pratica. Onde egli vi fece di molte opere, che sono sparse

in molti luoghi. Et all'architettura attendendo, diede saggio di sé in molte
cose ch'e' fece. Appresso nel ritorno di Carlo V dalla vittoria di Tunisi,
passando egli per Messina, Polidoro gli fece archi trionfali bellissimi, onde
n'acquistò nome e premio infinito. Laonde egli, che sempre ardeva di

desiderio di rivedere quella Roma, la quale di continuo strugge coloro che
stati ci sono molti anni nel provare gli altri paesi, vi fece per ultimo una
tavola d'un Cristo che porta la croce, lavorata a olio, di bontà e di colorito
vaghissimo; nella quale fece un numero di figure che accompagnano Cristo

alla morte, soldati, farisei, cavagli, donne, putti et i ladroni innanzi, col
tenere ferma l'intenzione, come poteva essere ordinata una giustizia
simile: che ben pareva che la natura si fusse sforzata a far l'ultime pruove
sue in questa opera veramente eccellentissima. Doppo la quale cercò egli

molte volte svilupparsi di quel paese, ancora ch'egli ben veduto vi fosse;
ma la cagione della sua dimora era una donna, da lui molti anni amata,
che con sue dolci parole e lusinghe lo riteneva. Ma pure tanto poté in lui la
volontà di rivedere Roma e gli amici, che levò dal banco una buona

quantità di danari ch'egli aveva, e risoluto al tutto, si partì.

Aveva Polidoro tenuto molto tempo un garzone di quel paese, il quale
portava maggiore amore a' danari di Polidoro, che a lui, ma per averli così
sul banco, non poté mai porvi su le mani e con essi partirsi. Per il che
caduto in un pensiero malvagio e crudele, deliberò la notte seguente,
mentre che dormiva, con alcuni suoi congiurati amici, dargli la morte e poi

partire i danari fra loro. E così in sul primo sonno assalitolo, mentre
dormiva forte, aiutato da coloro, con una fascia lo strangolò. E poi datogli
alcune ferite, lo lasciarono morto. E per mostrare ch'essi non l'avessero

fatto, lo portarono su la porta della donna da Polidoro amata, fingendo
che, o parenti, o altri in casa l'avessero amazzato. Diede dunque il garzone
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