Page 98 - Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti_ 9 (Classici) (Italian Edition)
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Cleofante Corintio fu il primo appresso de' Greci che colorì, et Apollodoro il
primo che ritrovasse il pennello. Seguì Polignoto Tasio, Zeusi e Timagora
Calcidese, Pitio, et Aglaufo, tutti celebratissimi; e, dopo questi, il
famosissimo Apelle, da Alessandro Magno tanto per quella virtù stimato et
onorato, ingegnosissimo investigatore della Calumnia e del Favore, come ci
dimostra Luciano, e, come sempre fur quasi tutti i pittori e gli scultori
eccellenti, dotati dal cielo, il più delle volte, non solo dell'ornamento della
poesia, come si legge di Pacuvio, ma della filosofia ancora, come si vede in
Metrodoro, perito tanto in filosofia quanto in pittura, mandato dagli
Ateniesi a Paolo Emilio per ornare il trionfo, che ne rimase a leggere
filosofia a' suoi figliuoli.
Furono, adunque, grandemente in Grecia esercitate le sculture; nelle quali
si trovarono molti artefici eccellenti, e tra gli altri Fidia Ateniese, Prasitele e
Policleto, grandissimi maestri; così Lisippo e Pirgotele in intaglio di cavo
valsero assai, e Pigmaleone in avorio di rilievo, di cui si favoleggia che, co'
preghi suoi, impetrò fiato e spirito alla figura della vergine ch'ei fece.
La pittura similmente onorarono e con premii gli antichi Greci e Romani,
poiché a coloro che la fecero maravigliosa apparire, lo dimostrarono col
donare loro città e dignità grandissime. Fiorì talmente quest'arte in Roma,
che Fabio diede nome al suo casato, sottoscrivendosi nelle cose da lui sì
vagamente dipinte nel Tempio della Salute, e chiamandosi Fabio Pittore.
Fu proibito per decreto publico che le persone serve tal'arte non facessero
per le città; e tanto onore fecero le gente del continuo all'arte et agli
artefici, che l'opere rare, nelle spoglie de' trionfi come cose miracolose a
Roma si mandavono; e gli artefici egregi erano fatti, di servi, liberi e
riconosciuti con onorati premii dalle republiche. Gli stessi Romani tanta
riverenza a tali arti portarono che, oltre il rispetto che, nel guastare la città
di Siragusa, volle Marcello che s'avesse a un artefice famoso di queste, nel
volere pigliare la città predetta, ebbero riguardo di non mettere il fuoco a
quella parte dove era una bellissima tavola dipinta; la quale fu di poi
portata a Roma, nel trionfo, con molta pompa; dove in spazio di tempo
avendo quasi spogliato il mondo, ridussero gli artefici stessi e le egregie
opere loro; delle quali Roma poi si fece sì bella, perché le diedero grande
ornamento le statue pellegrine, e più che le domestiche e particolari;
sapendosi che in Rodi, città d'isola non molto grande, furono più di tremila
statue annoverate fra di bronzo e di marmo, né manco ne ebbero gli
Ateniesi, ma molto più que' d'Olimpia e di Delfo, e senza alcun numero
que' di Corinto, e furono tutte bellissime e di grandissimo prezzo. Non si sa
egli, che Nicomede, re di Licia, per l'ingordigia di una Venere che era di
mano di Prasitele, vi consumò quasi tutte le ricchezze de' popoli? Non fece
il medesimo Attalo? che per avere la tavola di Bacco dipinta da Aristide non